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Era il 15 gennaio del 2009. Forse non ti ricorderai esattamente cosa stavi facendo, ma probabilmente non ti sarà nuova l’impresa del pilota della US Airways che al comando del volo 1549 fu costretto ad un atterraggio di emergenza sul fiume Hudson, nel bel mezzo di New York City, dopo che uno stormo di anatre aveva colpito entrambi i motori del suo Airbus facendogli perdere velocemente quota.
Grazie alla calma e alla capacità del comandante in una situazione estremamente delicata, l’aereo atterrò sull’acqua, portando in salvo tutti i 155 passeggeri e tutto l’equipaggio facendone uno degli atterraggi d’emergenza più riusciti della storia.
Nella vita per fortuna, è raro affrontare una situazione così drammatica, ma è plausibile che potremmo comunque trovarci a fronteggiare qualcosa di critico, delicato e difficile. Quanto conta in quel momento, la capacità, la lucidità, il senso dell’altruismo e della propria personale missione? Moltissimo. Essere consapevoli delle proprie capacità, competenze, avere chiaro chi siamo e avere chiaro a servizio di chi agiamo, è fondamentale.
Dal momento in cui lo stormo di anatre colpi l’aereo, disattivandone entrambi i motori e l’atterraggio sul fiume, passarono poco più di 3 minuti. Una manciata di minuti, 208 secondi per fare la differenza per sé e altre 155 persone.
Da questa impresa straordinaria abbiamo certamente tutti una lezione da imparare che voglio riassumere in 4 punti da ricordare.
Preparazione e pratica
A chi gli ha chiesto come ha fatto a mantenere il sangue freddo in quei secondi decisivi Sullenberger rispose: “Per 42 anni ho fatto piccoli e regolari depositi in questa banca dell’esperienza, formazione e training. E quel 15 gennaio il saldo era abbastanza capiente per poter fare un cospicuo prelevamento”. La ripetizione, il training rendono esperti, e sicuri di quel che facciamo e ci permettono di affrontare con più sicurezza le difficoltà. Ma non è stata l’unica cosa.
Il proprio ruolo a servizio di una mission più grande
Il secondo aspetto decisivo è stato il sapere di “essere il capitano”, e di essere consapevole di “dover atterrare e di salvaguardare la vita e la sicurezza dell’equipaggio e dei passeggeri.” Questi aspetti esplicitano la forte consapevolezza della propria funzione e del proprio ruolo e marcano la distinzione tra ruolo e mission. Il ruolo ha a che fare con il proprio status e le proprie capacità. La mission ha a che fare con la chiarezza che il nostro servizio, può fare la differenza per gli altri, può dare un contributo al di là di noi stessi.
La capacità di creare un campo di cooperazione e supporto.
Quando gli fu chiesto come si sentisse in quei secondi, dopo aver capito che senza un atterraggio di emergenza l’aereo sarebbe precipitato Sullenberger rispose: “Calmo all’esterno, agitato all’interno”. Disse di non essere mai stato così nervoso in tutta la sua vita e allo stesso tempo così calmo”; e pubblicamente ringraziò tutto l’equipaggio per la calma e professionalità con la quale aveva gestito l’emergenza. Gli stessi membri dell’equipaggio affermarono di esser riusciti a gestire la criticità con efficacia perché il capitano era così sicuro di sé e in controllo della situazione che anche i passeggeri si erano dimostrati calmi e cooperativi. In realtà quindi il merito andava ancora una volta al capitano Sullenberger che con freddezza e autorevolezza aveva mantenuto un ambiente lucido e controllato. Questa è la capacità dei grandi leaders di generare dei campi di supporto favorevoli e ricchi di risorse, nei quali agire al meglio.
Trasformare un dolore in opportunità
La capacità di trovare risorse nelle difficoltà, di cambiare il punto di vista, di allargare il proprio campo di pensiero è propria delle persone autorealizzanti. Qualche anno prima dell’incidente sull’Hudson, Sullenberger era stato colpito da un grave lutto in famiglia. La morte del padre per suicidio. “La morte di mio padre, mi aveva lasciato arrabbiato, ferito, devastato. E’ stato molto difficile, ma allo stesso tempo questo lutto mi ha dato il senso della natura fugace della vita, e mi ha portato a volerla preservare ad ogni costo” “Non ero stato in grado di salvare mio padre, ho fatto tutto quello che potevo per salvare i passeggeri di quel volo”
La storia del miracolo sull’Hudson ci mostra l’importanza di avere chiaro il proprio ruolo e di avere una missione che va al di là dell’ambizione personale al successo. Ci mostra anche come la pratica ripetuta faccia la differenza tra chi si improvvisa e chi opera da professionista. Solo con l’esercizio e la pratica si può diventare davvero esperti in qualcosa.
Tre minuti, fecero la differenza tra la vita e la morte per 160 persone, per le loro famiglie. Il capitano atterrò, e percorse per due volte l’intera lunghezza del velivolo accertandosi che fosse stato completamente evacuato e che tutte le persone fossero in salvo. Solo allora, per ultimo, lasciò l’aereo.
E. Migliorini
Fonti:
R. B. Dilts, Next Generation Entrepreneurs, SFM Vol. 1, Dilts Strategy Group, 2015