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Allora, cosa so del cambiamento? La prima cosa che so, è che ognuno di noi, ha timore di qualcosa. Ognuno di noi ha timore di qualcosa.
Carly Fiorina
Questa una parte dell’intervento all’Università di Stanford nel 2007, di Carly Fiorina Ceo della Hewlett-Packard.
L’essere umano è naturalmente portato a resistere al cambiamento, continua la Ceo, in forza di due elementi che agiscono all’unisono. Come se indossassimo delle bretelle e qualcosa ci trattenesse proprio con quelle. Vorremmo muovere il nostro primo passo, ma i due elastici con forza ci trattengono. Immaginiamo che un elastico si chiami paura dell’ignoto e l’altro si chiami volontà di mantenere lo status quo. Queste sono le due forze che ci frenano, facendoci rimanere esattamente dove stiamo oggi, impedendoci di fatto di camminare avanti verso ciò che desideriamo. Interromperne l’azione significa abbracciare il cambiamento. In realtà queste due forze sono legate, l’una l’implicazione dell’altra e derivano da un’emozione primitiva e universale: LA PAURA. La paura dell’ignoto, il nuovo, ciò che non conosciamo che genera incertezza e potrebbe potenzialmente farci perdere ciò che abbiamo.
Conosciamo la paura e i suoi meccanismi
La paura è una delle sette emozioni universali definite da Paul Ekman. Ogni essere umano prova paura. Proviamo paura quando ci sentiamo minacciati da un dolore imminente, sia esso fisico, emotivo, psicologico, reale o immaginato. La paura è primitiva. Essa ha permesso all’uomo di sopravvivere tenendolo al sicuro e mobilitandolo nel momento di potenziale pericolo. Inizialmente i grandi pericoli erano rappresentati dagli elementi della natura: fenomeni atmosferici e animali minacciavano la sua stessa sopravvivenza. Oggi che il rischio di essere sbranati da un leone è alquanto basso per la maggior parte di noi, essa opera ancora allo stesso modo, con i medesimi meccanismi fisici di allora, sia che la situazione sia reale, sia che sia immaginata.
Nell’immaginazione opera anche la paura del cambiamento e del nuovo. Di fronte a una cosa nuova, se tra gli esiti possibili ne immaginiamo di negativi, (ad esempio, critica, giudizio, fallimento, perdita, trauma), con conseguente possibile dolore fisico od emotivo, il nostro organismo risponde come millenni fa, attivando una serie di reazioni che definiamo paura. Quindi che uno scenario sia reale o immaginato, il nostro corpo risponde. Se ci immaginiamo il peggio, il nostro corpo risponderà con l’emozione della paura e metterà in atto tutti i meccanismi atti alla nostra sopravvivenza.
Le implicazioni della paura
Tra le molteplici implicazioni della paura ci sono le due bretelle che prima abbiamo visualizzato, che agiscono rafforzandosi a vicenda.
Man mano che le persone avanzano nella loro vita, diventano timorose di affrontare qualcosa di nuovo. E così si attua una resistenza al cambiamento.
Carly Fiorina
E’ nella natura umana voler preservare ciò che si ha. Questa è la paura della perdita. Paura di provare un dolore, dovuto alla perdita della condizione attuale e nota. Se con la nostra immaginazione alimentiamo questa paura, restiamo immobili, esattamente dove siamo con l’intento almeno di proteggere ciò che abbiamo. La volontà di mantenere lo status quo agisce in tutte le organizzazioni più o meno allo stesso modo: siano esse aziende, associazioni o istituzioni come la famiglia.
“Non ho più niente da perdere.” Minacciati dalla possibilità di perdita, ci muoviamo solo quando costretti o quando una forza esterna ci ha già tolto tutto ciò che per noi ha valore. Ciò che genera la paura della perdita, è la paura di non sapere cosa ci attende, cosa accadrà, di ciò che è ignoto, il nuovo o non certo. Di fronte all’incerto, se diamo potere alla nostra immaginazione in maniera a noi non utile, nutriamo l’ostacolo, facendolo diventare un mostro molto più grande di noi. Per questo inaffrontabile. Se e’ inaffrontabile, non possiamo affrontarlo di certo! La tendenza a renderci irresponsabili, nel senso di non responsabili, ne è conseguenza.
Per paura dell’ignoto tendiamo ad attribuire ad elementi esterni (il mostro inaffrontabile) la nostra impossibilità ad agire. Fare questo genera un temporaneo senso di sollievo e soprattutto non costa fatica.
“Le persone mi criticheranno, quindi meglio non fare nulla”, “Perderei la faccia se dovessi fallire”, “Se sbaglio cosa penseranno di me?”… Di fronte alla possibilità che si verifichi un evento doloroso, immaginato, pensiamo a come evitarci la sofferenza. Accettando l’impotenza, ci permettiamo l’immobilità.
Ciò che non cambi, lo scegli
Accettare una situazione che non ci piace solo perché pensiamo di non poter fare altrimenti, significa sceglierla. “Cosa ci posso fare?”, “Le cose non cambieranno per me”. Scegliamo l’impotenza. La scegliamo per per pigrizia, inerzia o perché abbiamo favorito la nostra paura e le sue implicazioni. Il punto focale è capire invece che abbiamo potere. Quanto meno siamo padroni della qualità dei nostri pensieri. Possiamo muoverci da lì, possiamo agire nonostante tutto.
Per farlo, il primo passo è essere consapevoli dei meccanismi della paura e decidere che la responsabilità del permanere in una situazione è nostra: siamo noi ad immaginare il nostro futuro, noi decidiamo che emozioni alimentare. Noi abbiamo le forbici per tagliare gli elastici delle bretelle che ci tengono lontani da dove in cuor nostro vorremmo andare.
Ci vuole forza per tagliarle? Si. E’ più facile restare inermi e lasciare che gli eventi ci accadano; è la differenza tra vivere e lasciarsi vivere.
La qualità della vita di un essere umano si misura dal grado di incertezza col quale questo è disposto a viverla.
Tony Robbins
Non cambiare è una scelta. Non scegliere è comunque una scelta.
Se non sei soddisfatto di dove sei ora nella tua vita, inizia adesso e da qui. Comincia a conoscere i meccanismi che ti bloccano, inizia a gestire i tuoi pensieri avendone consapevolezza.
Comincia tutto dal riconoscere a te stesso che qualsiasi cosa tu faccia o non faccia la stai comunque scegliendo!
E. Migliorini